Riflessioni sulla volontà: un cammino verso se stessi

Sabato, 08 Maggio 2021 09:50

     


    Avvicinare la volontà

    Trovo curioso che di riflessioni sulla volontà, “dimensione antropologica essenziale”, come la definisce Manicardi (2012), il panorama psicologico sia piuttosto povero. Non mi riferisco, dicendo quello che ho appena detto, all'attenzione della psicologia verso la sua mancanza, comunemente conosciuta come abulia, ma ad una attenzione verso la sua essenza. 

    Allo stesso tempo trovo prevedibile che i migliori contributi sulla volontà possano essere ricercati nella filosofia e nella sociologia, e, se posso permettermi di suggerire, anche nella letteratura.

    Grandi pensatori appartenenti ad epoche e periodi storici diversi, S’Agostino, Kierkegaard, Nietzsche, Arendt, Weil, Ricoeur, e con vertici di osservazione differenti, hanno riconosciuto alla volontà un ruolo determinante per la vita dell’uomo, eppure ancora così poca attenzione gravita intorno a questa dimensione. Come mai di riflessioni sulla volontà, ancora oggi, ne possiamo raccogliere così poche? Sarà per la pluralità di aspetti che essa convoglia?

    Partendo dalla mia micro-realtà e provando a sottoporre me stessa a un indagine sulla volontà e a produrre riflessioni sulla volontà, mi sono subito resa conto che questa cosa mi sarebbe costata un’immensa fatica. “Cosa sai della volontà?” mi sono chiesta. Lo sforzo che stavo facendo per far venir fuori quello che dentro di me da qualche parte immaginavo potesse esserci, non era già la testimonianza in tempo reale della mia volontà in azione?  Così mi sono lasciata guidare.

    Io, i pazienti e la volontà

    Ho pensato che avrei potuto costruire le mia riflessioni sulla volontà a partire dalle conoscenze estrapolabili dal mio lavoro e indubbiamente dalla mia vita. L’ambito lavorativo, molto più di quello personale, mi ha forse aiutato nell’operazione di dare un senso coerente a quello che un po’ in maniera caotica iniziava a passarmi per la mente.

    Il primo contatto a mente lucida con questa dimensione mi è stato concesso dalla mia formazione e dal mio lavoro. È dall’incontro con i miei pazienti che, infatti, io devo riconoscere di aver sviluppato l’attitudine a guardare in che modo operino in loro, e in me, il desiderio, la volontà, la responsabilità.

    Il più delle volte questo mi ha consentito di  scoprire una condizione in cui la loro parte desiderante, e anche la mia, era impoverita, coartata o illusoria. La loro volontà li aveva esposti a definire obiettivi e piani irraggiungibili, o li  aveva condannati a non volere, a non compiere sforzi. 

    La loro responsabilità era solo un seme che neppure loro sapevano di possedere e che richiedeva per prima cosa di essere riconosciuto e poi costantemente nutrito. Un lavoro duro, durissimo, mi permetterei di dire.

    Desideri e volontà

    “Non ce la faccio” è quello che ci  sentiamo ripetere, e che ripetiamo a noi stessi, costantemente quando fallisce il collimare di  desideri e volontà; quando rinunciare a ciò che è stato è un’opzione troppo rischiosa e proiettarsi verso il futuro che non si può neanche immaginare, impossibile. Allora ricorrere alla possibilità di individuare la nostra flessibilità alla sofferenza passata è la nostra bussola. Ma funziona? Qualche volta si, qualche volta no e sinceramente non saprei ancora dire perché.

    La volontà in qualche modo chiede a tutti di ricorrere alle medesime funzioni cognitive, ma a cosa si può attribuire un esito differente? La loro quantità, la loro qualità, la loro interazione reciproca, l’inibizione di una piuttosto che un’altra?  La volontà, è vero, libera, ma la volontà imprigiona pure e forse la sofferenza è la possibilità concessa all’uomo di  riconoscere proprio quest’ultima volontà dalla prima.

    Nel cammino verso cui la volontà ci guida, essa stabilisce, insieme al desiderio e alla responsabilità, quale tappa del percorso che conduce al senso della nostra esistenza raggiungeremo. La volontà è, a mio avviso, una dimensione dinamica che evolve con l’uomo, che ha bisogno di maturare. Se la volontà presuppone il pensiero, la valutazione, la decisione, la memoria, la capacità di frenare o supportare il desiderio, io penso che abbia bisogno di esperienza. Non intendo negare le mirabili testimonianze di volontà di cui la storia ci ha fatto dono, ma allo stesso tempo io credo che siano casi particolari.

    La volontà è un cammino a tappe

    Come potremmo intendere la loro volontà e quella di noi altri ? Da cosa dipende la volontà che si viene a costituire in ognuno di noi? Dipende forse dal soggetto, dalle figure primarie o vicarie, dall’ambiente, o dalla loro interazione? In che modo questa interazione determinerà il futuro della volontà? C’è qualcuno o qualcosa che potrà modificare il futuro della volontà?

    Se c’è un contributo che subito mi ha fatto pensare alla volontà come un cammino a tappe è certamente quello che si riconosce in tutte le opere di Herman Hesse. In Siddartha,  nel Demian, nel Lupo della stessa, in Narciso e Boccadoro, è possibile riconoscere l’uomo che si muove nella direzione di diventare se stesso. In ognuna di esse si scorge il progetto di esplorare intimamente e sinceramente l’animo umano, di individuarne le parti, anche quelle più ripugnanti, di accoglierle, di renderle complementari.

    Per chiarire meglio che cosa intendo non posso che riportare le parole di questo incredibile scrittore nello stralcio del suo Demian che segue :

    “La vita di ogni uomo è una via verso se stesso, il tentativo di una via, l'accenno di un sentiero. Nessun uomo è mai stato interamente se stesso, eppure ognuno cerca di diventarlo, chi sordamente, chi luminosamente, secondo le possibilità. Ognuno reca con sé, sino alla fine, residui della propria nascita, umori e gusci d'uovo d'un mondo primordiale. Certuni non diventano mai uomini, rimangono rane, lucertole, formiche. Taluno è uomo sopra e pesce sotto, ma ognuno è una rincorsa della natura verso l'uomo. Tutti noi abbiamo in comune le origini, le madri, tutti veniamo dallo stesso abisso; ma ognuno, tentativo e rincorsa dalle profondità, tende alla propria meta. Possiamo comprenderci l'un l'altro, ma ognuno può interpretare soltanto se stesso”.

    (H. Hesse)

    Sulla mia volontà

    Per concludere, e per non trascurare quello che ho detto sopra, circa la possibilità ricavare riflessioni sulla volontà anche dalla mia vita, penso di dover dire che sono ben lontana dalla possibilità di riconoscere alla mia volontà una configurazione chiara; di certo, più di una volta, ho avuto l’impressione che la mia volontà fosse insufficiente o mal riposta. Altrettante volte che non fosse d’accordo con i miei desideri, altrimenti non sarei riuscita a spiegare a me stessa i miei fallimenti, altre ancora che fosse vendicativa.

    Se mi fermassi a questo punto però, lascerei fuori tutta un’altra parte di volontà, certamente più fragile, certamente meno combattiva,  che è comunque stata promotrice di resilienza, di  promesse e di  ricerca di senso e questo ultimo aspetto è forse quello che, più fermamente di ogni altro, io riconosco e mi sento in dovere di testimoniare.

     

    Riferimenti Bibliografici

    Manicardi, L. (2012). La volontà.  In C. di Prima & S. Erba (A cura di),  Il Ruolo Terapeutico: ricerche e esperienze in psicoterapia (pp.501-525). Milano: Franco angeli.

    Hesse, H. (1972) Demian. Milano: Arnoldo Mondadori Editore.

     

     

    Ultima modifica il Mercoledì, 12 Maggio 2021 10:55