Solo un modo di guardare: una lente, tante lenti

Martedì, 26 Ottobre 2021 14:29

     

    Bisogna essere capaci di ammirazioni impetuose e accogliere in cuore molte cose con amore […]. Occhi grigi e freddi non sanno il valore delle cose. Ma, certamente: bisogna avere una forza contraria; saper volare in lontananze così vaste e lontane, da vedere in basso, molto in basso sotto di sé, anche le cose più ammirate, e molto vicino ciò che forse si è disprezzato.

    Nietzsche

     

    Trasferire,  mi riferisco proprio al “condurre al di là” della nostra stanza, l’intimo dialogo con i pazienti è un’impresa assai ardua. Anche il più fine e sensibile tentativo di rendere visibile quello che li dentro accade, al paziente e a noi, non può che tradursi in un mero artificio.

    Difficilmente quello che conta può essere detto, o meglio può essere detto nel momento in cui vorremmo o dovremmo farlo. Difficilmente si può tradurre il groppo in gola, l’odore che pervade la stanza, il tocco profondo e rassicurante di uno sguardo, l’effetto di una parola, proprio quella che il paziente desiderava sentirsi dire da tanto tempo; e ancora le lacrime che le loro storie rendono difficile controllare, il loro incedere incerto, affannoso, disperato, controllato, quel pezzo di mondo che fanno entrare nella nostra stanza. Difficilmente si possono tradurre le emozioni che circolano, così tanto intense, o mortalmente silenziate, arroccate in quella torre inaccessibile. Difficilmente si può tradurre quello che accade, perché, a volte, neanche noi lo sappiamo, se non sono gli stessi pazienti a donarci i loro momenti più significativi con noi, quelli in cui hanno deciso di farci entrare con fiducia nel loro buio e ci hanno permesso di accompagnarli.

    Eppure noi lavoriamo intensamente, infaticabilmente e in modo permanente per fare in modo che la lente - che ci consente di mettere a fuoco il nostro vissuto e quello del paziente - diventi sempre più sensibile. È evidente come da tutto questo lavoro non possano che venire fuori tutta una serie di difetti, distorsioni, sfocature, fastidiosi riflessi, macchie cieche, che solo dopo essere state accolte e riconosciute  possono essere corrette.

    Abbiamo bisogno di tante altre lenti, diverse da quelle che abitualmente usiamo, per vederlo, e forse, in un secondo momento, correggere la nostra. Le informazioni che esse ci forniscono, a volte, e lo scopriamo a nostre spese, sono una vera e propria beffa che ci costringe a un’operazione di imprevista e improvvisa di pulizia, a strabuzzare gli occhi, a strizzarli, a proteggerci da quell'accecante riflesso, respingendolo. Altre volte sono talmente fini, talmente specializzate, da poter essere paragonare a quelle di microscopio precisissimo, mi chiedo il macroscopico dove finisca. Altre volte ancora sono capaci di rivelare il colore cangiante delle informazioni, seguirne il movimento, fino a fondersi con esso; in altre occasioni sono intente a consegnarci informazioni che assomigliano a sentenze incontrovertibili, e ahimè,  è proprio così che me le immagino, incredibilmente pesanti.

    Se non fosse che ogni lente reclama, rispetto ad ogni altra, la sua predominanza, la sua precisione, la sua accuratezza, la brillantezza delle informazioni che è capace di fornire, potremmo dire che ognuna di esse può contribuire come in un puzzle a fornirci il frammento che ci consentirà di accostarci all’immagine “reale”, o meglio ad una sua riproduzione, se non altro, verosimile.

    Ma per guardare meglio bisogna spostarsi, vicino, lontano, di lato, sopra, sotto, dietro, avanti, dentro e fuori e costa fatica farlo, è un esercizio complesso, nel senso che esiste sempre un insondabile e i nostri pazienti lo hanno imparano esattamente come noi.

    Si tratta di concedersi la possibilità di cogliere - parlo di una conquista - in quella nudità che, a volte, ci appare talmente ripugnante, qualcosa di assolutamente umano, che ci appartiene; mi riferisco proprio all'atto di scoprire come i nostri occhi siano capaci di vedere, di tollerare.

     

    Ci sono poi altri elementi, assai rilevanti, che hanno a che fare con la luce o l’oscurità con cui la lente lavora, la sua resistenza agli urti, come lavora quando è graffiata, se può ricorrere ad  altre fonti luminose affinchè il suo lavoro risulti meno logorante. Perché si, la lente si consuma, non è che costruita di strati, la sua parte più esterna, la più dura e resistente, lo vedi chiaramente diventa opaca, perde la sua originaria brillantezza, si scortica fino a rendere quasi impossibile la visione che ci si aspetterebbe da lei.

    È vero perde la sua forma, ma per acquisirne un'altra. Lei è in transito, continua il suo lavoro, fissa se stessa e il mondo, anche quando scompare in mezzo alle altre lenti. Ripercorre gli istanti, passa in rassegna i processi, apprezza i dettagli e non disdegna l'insieme. Si intrufola negli interstizi dell’esistenza alla ricerca di uno sguardo, il suo snodo, che proceda oltre la nitidezza.

     

     

    Ultima modifica il Venerdì, 29 Ottobre 2021 18:30