L'importanza della lentezza: il viaggio fantastico di Sepúlveda

Domenica, 09 Maggio 2021 07:28

     

     

    Da non molto tempo mi sono resa conto che la lentezza mi sta incuriosendo in modo particolare. Nel trattenerla nella mia mente, con un atteggiamento indubbiamente in controtendenza rispetto alla velocità che mi scorre intorno, mi sono accorta di essermi imbarcata in un viaggio per certi versi impegnativo e per altri agevole.

    Ho solcato, e ancora lo sto facendo, itinerari molto diversi, ma - ad un esame solo poco più attento - accomunati dalla possibilità di concedere al tempo il ruolo di benefattore piuttosto che di tiranno.

    Nell'arduo compito di sceglierne uno mi sono sentita ispirata da quello che avrebbe potuto solleticare le corde emotive di tutti, adulti e bambini, facendo recuperare rispettivamente, ai primi, e scoprire, ai secondi, l'importanza della lentezza.

    La forza ispiratrice di un bambino di nome Daniel e l'anima esploratrice di Luis Sepúlveda mi hanno permesso di conoscerlo e solcarlo insieme a loro, ma sono certa che il loro desiderio di condividerlo, di consentire ad altre persone di percorrerlo fosse talmente grande che avrei dovuto fare qualcosa anch'io per aiutarli.

    Permettetemi, allora, di condurvi la dove tutto è iniziato: il Paese del Dente di Leone.

    "In un prato vicino a casa tua o a casa mia viveva una colonia di lumache sicurissime di trovarsi nel posto migliore del mondo. Nessuna di loro si era mai spinta fino al limitare del prato, nè tanto meno fino alla strada asfaltata che iniziava proprio là dove crescevano gli ultimi i fili d'erba".

    […]

    "Fra loro però c’era una lumaca che pur accettando una vita lenta, molto lenta e tutta sussurri, voleva conoscere i motivi della lentezza".

     

    Ribelle è il nome della lumaca che lì ho conosciuto e che mi ha permesso di scorgere nell'interiorità, la meta del suo, ma anche nostro, lento e ineludibilmente vivace peregrinare. Si tratta di una storia che testimonia il prodigioso movimento che, ai più, è reso possibile da un improvviso sfilacciarsi dello stanco e rassegnato sentire dell'esistenza. Mi riferisco a quel ridestarsi alla vita, imprevisto, che orienta lo sguardo alla sua fattura, ai suoi decori e ai suoi colori.

     

    Audacia, curiosità, oblio

    Se ciò che deve accadere per poterlo avvertire è, dunque, una lassità nella trama del sopravvivere, proviamo solo ad immaginare quanto possa risultarci arcana la tessitura della nostra esistenza. In quest'ultima è, a mio avviso, l'audacia a guidare la scoperta. Mi riferisco ad un'audacia capace di sovvertire ordini, scuotere conoscenze, insidiare abitudini, ammutolire eruditi. Non esiste, per me, un'audacia più potente e preziosa di quella dei bambini. Nella sua meravigliosa essenza non possiamo che riconoscerle un armamentario primitivo, ma semplice ed efficace. Pensate, un solo strumento per sfidare i pericoli, raccogliere conoscenze, alimentare malumori, creare disaccordi, costruire abilità: la domanda.

    In essa si esprime quella genialità fanciullesca - sgombra dal fardello della ragione - capace di scorgere, come Leopardi ci ricorda nel suo Zibaldone, " rapporti astrusissimi, dei quali converrebbe che il filosofo facesse gran caso".

    "Le sembrava ingiusto non avere un nome, e quando una delle lumache più vecchie le domandava perchè ci tenesse tanto, lei rispondeva come loro a bassa voce: Perché il calicanto si chiama così, calicanto, e perciò quando piove, per esempio, diciamo che andiamo a rifugiarci sotto le foglie di calicanto. Anche il saporito dente di leone si chiama così, dente di leone, e perciò quando diciamo che andiamo a mangiare delle foglie di dente di leone non ci sbagliamo e non mangiamo ortiche".

    L'expertise, che ai bambini manca, a noi adulti ha tolto la curiosità e con essa il dono di domandare e di ascoltare. Non a caso siamo diventati così abili a raccontare storie su noi stessi e sugli altri, storie per non vedere, storie per non sentire. Amare la velocità, allora, non può che venirci naturale, è la sua premura ad attrarci, a proteggerci dalla lentezza. La ricerchiamo, infatti, con la stessa urgenza con cui il neonato cerca il contatto materno di fronte al pericolo. Essa ci aiuta a scoprire, precipitandosi a coprirci gli occhi dal lento dipanarsi dell'esistenza, che il buio da cui tanto siamo spaventati, può essere combattuto con l'impetuoso scorrere in cui ci dissolviamo. 

    Il tempo, messaggero della natura caduca di tutte le cose, è allora denigrato e elogiato a seconda dei nostri successi o fallimenti, spremuto o sprecato a seconda dei nostri desideri, o assenza di desideri. I suoi doni sono un portato pesante trascinato senza volontà.

    "Tu sei una giovane lumaca e tutto ciò che hai visto, tutto ciò che hai provato, amaro e dolce, pioggia e sole, freddo e notte, è dentro di te, e pesa, ed essendo così piccola quel peso ti rende lenta".

     

    Memoria, paura, coraggio

    Mentre la memoria costruisce, conserva, accumula per noi semi pieni di significato, certo dal carattere enigmatico, non ho intenzione di negarlo, noi la accusiamo di disordine, di inettitudine, di inganno e perfino di tortura.

    "[…] visto che non ho mai dimenticato la strada di andata né quella del ritorno mi hanno chiamato Memoria, ma poi sono stati loro a dimenticare me".

    L'esperienza della sua compagnia, a volte dolce, altre volte amara, ci confonde, ci allerta, ci predispone a prestarle una maggiore attenzione solo dopo averle attribuito questa polarità. La sua funzione, infatti, ci sfugge, consuma energia senza garanzie. I nessi che intende intrecciare trovano la loro strada lentamente, troppo lentamente e quello che hanno da dirci, sebbene non noto, porta in seno una trasformazione che sempre ci inquieta.

    Proprio così, per quanto biologicamente la paura possa essere nostra amica, intendo nella sua funzione di segnalarci i pericoli, di migliorare la nostra acuità visiva di fronte alla vita, di preparaci a reperire risorse e strumenti per difenderci dal loro incombere su di noi, le abbiamo confezionato un'immagine sgradevole e molesta. La spinta al movimento che ci suscita ci getta a riconoscerci imperfetti, impreparati, perdenti. Di certo qualcosa deve essere perso, ma è nostro e facciamo fatica a lasciarlo andare, facciamo fatica a pensare che manchevoli di quella parte, che ci impegniamo a tenere stretta a noi, potremmo mai essere più rigogliosi.

     

    "È vero che non sono sicura di trovare il nuovo Paese del Dente di Leone. È vero che non so dov’è, né quanto tempo impiegheremo ad arrivare. È vero che non so se incontreremo grandi pericoli e se arriveremo tutte. Ma so che il nuovo Paese del Dente di Leone è davanti a noi e non alle nostre spalle".

     

    Nel linguaggio comune, infatti, ci viene più semplice prendere per buona e riproporre questa constatazione: "Se hai paura non sei coraggioso, se sei coraggioso non hai paura." Tuttavia, il coraggio presuppone la conoscenza di ciò che spaventa e del modo in cui poterla fronteggiare. Il coraggio e la paura per quanto paradossale possa sembrare non si escludono affatto. E attraverso il coraggio e la paura che possiamo raggiungere la piena realizzazione di quello che siamo e questo processo può esporci a critiche, disapprovazione, solitudine, ma anche condivisione, riconoscimento, partecipazione. 

     

    Il dentro e il fuori

    "L'io che istituisce il nostro rapporto con mondo ci appare un'entità certa irrefutabile; eppure non c'è niente di più minacciato dallo sguardo degli altri, o dagli eventi della storia personale. Non siamo chiusi in noi stessi in forma immutabile, quasi come dentro una solida fortezza controllata a a vista: l'identità personale non è mai data una volta per tutte, non è un recinto chiuso, ma un tessuto la cui trama - mai completa - evolve sempre, incessantemente. Il mondo in noi e il mondo fuori di noi esistono soltanto attraverso le reti di significati che non smettiamo mai di proiettare su di essi".

    Le Breton

    Quando ribelle si imbarca nel suo viaggio per conoscere i motivi della sua lentezza è molto lontana dal comprendere dove quel viaggio la condurrà. Quello che la spinge è il suo bisogno di sapere perchè è così lenta, è il bisogno di un'identità, di un nome.

    In questo cammino, lentamente, molto lentamente, transitando tra il bisogno di separazione e quello di riconoscimento, scopre l'altro, fuori da sè, separato da sè e scopre se stessa. Lascia emergere il desiderio, accetta l'attesa senza lasciarsi sopraffare dall'ostilità dell'altro, raccoglie i doni lungo questo cammino. Si spinge a correre rischi, senza garanzie, sente che qualcosa sarà possibile, si muove verso la sua interiorità, che la aiuterà - al termine del suo viaggio - a leggere se stessa e il mondo con occhi diversi.


    "Ho imparato l’importanza della lentezza e, adesso, ho imparato che il Paese del Dente di Leone, a forza di desiderarlo, era dentro di noi» concluse in un sussurro e lentamente, molto lentamente, se ne andò a mangiare insieme alle sue compagne".

     

     

    Riferimenti Bibliografici

    Sepúlveda, L. (2013). Storia di una lumaca che scoprì l'importanza della lentezza. Parma: Guanda.

     

     

    Letto 828 volte Ultima modifica il Martedì, 16 Novembre 2021 10:27

    Lascia un commento

    Assicurati di aver digitato tutte le informazioni richieste, evidenziate da un asterisco (*). Non è consentito codice HTML.