Alla Sbav quell'anno l'Ufficio Relazioni Pubbliche propose che alle persone di maggior riguardo le strenne fossero recapitate a domicilio da un uomo vestito da Babbo Natale. L'idea suscitò l'approvazione unanime dei dirigenti. Fu comprata un'acconciatura da Babbo Natale completa: barba bianca, berretto e pastrano rossi bordati di pelliccia, stivaloni. Si cominciò a provare a quale dei fattorini andava meglio, ma uno era troppo basso di statura e la barba gli toccava per terra, uno era troppo robusto e non gli entrava il cappotto, un altro troppo giovane, un altro invece troppo vecchio e non valeva la pena di truccarlo.
Mentre il capo dell'Ufficio Personale faceva chiamare altri possibili Babbi Natali dai vari reparti, i dirigenti radunati cercavano di sviluppare l'idea: l'Ufficio Relazioni Umane voleva che anche il pacco-strenna alle maestranze fosse consegnato da Babbo Natale in una cerimonia collettiva; l'Ufficio Commerciale voleva fargli fare anche un giro dei negozi; l'Ufficio Pubblicità si preoccupava che facesse risaltare il nome della ditta, magari reggendo appesi a un filo quattro palloncini con le lettere S, B, A, V. Tutti erano presi dall'atmosfera alacre e cordiale che si espandeva per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri; e questo, questo soprattutto - come ci ricorda il suono, firulí firulí, delle zampogne -, è ciò che conta.
In magazzino, il bene - materiale e spirituale - passava per le mani di Marcovaldo in quanto merce da caricare e scaricare. E non solo caricando e scaricando egli prendeva parte alla festa generale, ma anche pensando che in fondo a quel labirinto di centinaia di migliaia di pacchi lo attendeva un pacco solo suo, preparatogli dall'Ufficio Relazioni Umane; e ancora di più facendo il conto di quanto gli spettava a fine mese tra " tredicesima mensilità " e "ore straordinarie ". Con quei soldi, avrebbe potuto correre anche lui per i negozi, a comprare, comprare, per regalare, regalare, regalare, come imponevano i più sinceri sentimenti suoi e gli interessi generali dell'industria e del commercio.
Il capo dell’Ufficio Personale entrò in magazzino con una barba finta in mano: - Ehi, tu! - disse a Marcovaldo. - Prova un po' come stai con questa barba. Benissimo! Il Natale sei tu. Vieni di sopra, spicciati. Avrai un premio speciale se farai cinquanta consegne a domicilio al giorno. Marcovaldo camuffato da Babbo Natale percorreva la città, sulla sella del motofurgoncino carico di pacchi involti in carta variopinta, legati con bei nastri e adorni di rametti di vischio e d'agrifoglio. La barba d'ovatta bianca gli faceva un po’ di pizzicorino ma serviva a proteggergli la gola dall'aria. La prima corsa la fece a casa sua, perché non resisteva alla tentazione di fare una sorpresa ai suoi bambini. " Dapprincipio, - pensava, non mi riconosceranno. Chissà come rideranno, dopo! "
I bambini stavano giocando per la scala. Si voltarono appena.
- Ciao papà.
Marcovaldo ci rimase male. -Mah... Non vedete come sono vestito?
- E come vuoi essere vestito? - disse Pietruccio. - Da Babbo Natale, no?
- E m'avete riconosciuto subito?
- Ci vuol tanto! Abbiamo riconosciuto anche il signor Sigismondo che era
truccato meglio di te!
- E il cognato della portinaia!
- E il padre dei gemelli che stanno di fronte!
- E lo zio di Ernestina quella con le trecce!
- Tutti vestiti da Babbo Natale? - chiese Marcovaldo, e la delusione nella sua voce non era soltanto per la mancata sorpresa familiare, ma perché sentiva in qualche modo colpito il prestigio aziendale.
- Certo, tal quale come te, uffa, - risposero i bambini, - da Babbo Natale, al solito, con la barba finta, - e voltandogli le spalle, si rimisero a badare ai loro giochi.
Era capitato che agli Uffici Relazioni Pubbliche di molte ditte era venuta contemporaneamente la stessa idea; e avevano reclutato una gran quantità di persone, per lo più disoccupati, pensionati, ambulanti, per vestirli col pastrano rosso e la barba di bambagia. I bambini dopo essersi divertiti le prime volte a riconoscere sotto quella mascheratura conoscenti e persone del quartiere, dopo un po' ci avevano fatto l'abitudine e non ci badavano più. Si sarebbe detto che il gioco cui erano intenti li appassionasse molto. S'erano radunati su un pianerottolo, seduti in cerchio.
- Si può sapere cosa state complottando? - chiese Marcovaldo.
- Lasciaci in pace, papà, dobbiamo preparare i regali.
- Regali per chi?
- Per un bambino povero. Dobbiamo cercare un bambino povero e fargli
dei regali.
- Ma chi ve l'ha detto?
- C'è nel libro di lettura.
Marcovaldo stava per dire: " Siete voi i bambini poveri! ", ma durante quella settimana s'era talmente persuaso a considerarsi un abitante del Paese della Cuccagna, dove tutti compravano e se la godevano e si facevano regali, che non gli pareva buona educazione parlare di povertà, e preferì dichiarare:
- Bambini poveri non ne esistono più!
S'alzò Michelino e chiese: - È per questo, papà, che non ci porti regali?
Marcovaldo si sentí stringere il cuore.
- Ora devo guadagnare degli straordinari, - disse in fretta, - e poi ve li porto.
- Li guadagni come? - chiese Filippetto.
- Portando dei regali, - fece Marcovaldo.
- A noi?
- No, ad altri.
- Perché non a noi? Faresti prima…
Marcovaldo cercò di spiegare: - Perché io non sono mica il Babbo Natale delle Relazioni Umane: io sono il Babbo Natale delle Relazioni Pubbliche. Avete capito?
- No.
- Pazienza -. Ma siccome voleva in qualche modo farsi perdonare d'esser venuto a mani vuote, pensò di prendersi Michelino e portarselo dietro nel suo giro di consegne.
- Se stai buono puoi venire a vedere tuo padre che porta i regali alla gente, - disse, inforcando la sella del motofurgoncino.
- Andiamo, forse troverò un bambino povero, - disse Michelino e saltò su, aggrappandosi alle spalle del padre.
Per le vie della città Marcovaldo non faceva che incontrare altri Babbi Natale rossi e bianchi, uguali identici a lui, che pilotavano camioncini o motofurgoncini o che aprivano le portiere dei negozi ai clienti carichi di pacchi o li aiutavano a portare le compere fino all'automobile. E tutti questi Babbi Natale avevano un'aria concentrata e indaffarata, come fossero addetti al servizio di manutenzione dell'enorme macchinario delle Feste.
E Marcovaldo, tal quale come loro, correva da un indirizzo all'altro segnato sull'elenco, scendeva di sella, smistava i pacchi del furgoncino, ne prendeva uno, lo presentava a chi apriva la porta scandendo la frase:
- La Sbav augura Buon Natale e felice anno nuovo,- e prendeva la mancia.
Questa mancia poteva essere anche ragguardevole e Marcovaldo avrebbe potuto dirsi soddisfatto, ma qualcosa gli mancava. Ogni volta, prima di suonare a una porta, seguito da Michelino, pregustava la meraviglia di chi aprendo si sarebbe visto davanti Babbo Natale in persona; si aspettava feste, curiosità, gratitudine. E ogni volta era accolto come il postino che porta il giornale tutti i giorni.
Suonò alla porta di una casa lussuosa. Aperse una governante.
- Uh, ancora un altro pacco, da chi viene?
- La Sbav augura...
- Be', portate qua, - e precedette il Babbo Natale per un corridoio tutto arazzi, tappeti e vasi di maiolica. Michelino, con tanto d'occhi, andava dietro al padre.
La governante aperse una porta a vetri. Entrarono in una sala dal soffitto alto alto, tanto che ci stava dentro un grande abete. Era un albero di Natale illuminato da bolle di vetro di tutti i colori, e ai suoi rami erano appesi regali e dolci di tutte le fogge. Al soffitto erano pesanti lampadari di cristallo, e i rami più alti dell'abete s'impigliavano nei pendagli scintillanti. Sopra un gran tavolo erano disposte cristallerie, argenterie, scatole di canditi e cassette di bottiglie. I giocattoli, sparsi su di un grande tappeto, erano tanti come in un negozio di giocattoli, soprattutto complicati congegni elettronici e modelli di astronavi. Su quel tappeto, in un angolo sgombro, c'era un bambino, sdraiato bocconi, di circa nove anni, con un'aria imbronciata e annoiata. Sfogliava un libro illustrato, come se tutto quel che era li intorno non lo riguardasse.
- Gianfranco, su, Gianfranco, - disse la governante, - hai visto che è tornato Babbo Natale con un altro regalo?
- Trecentododici, - sospirò il bambino - senz'alzare gli occhi dal libro. - Metta lí.
- È il trecentododicesimo regalo che arriva, - disse la governante. - Gianfranco è cosí bravo, tiene il conto, non ne perde uno, la sua gran passione è contare.
In punta di piedi Marcovaldo e Michelino lasciarono la casa.
- Papà, quel bambino è un bambino povero? - chiese Michelino.
Marcovaldo era intento a riordinare il carico del furgoncino e non rispose subito. Ma dopo un momento, s'affrettò a protestare:
- Povero? Che dici? Sai chi è suo padre? È il presidente dell'Unione Incremento Vendite Natalizie! Il commendator...
S'interruppe, perché non vedeva Michelino. Michelino, Michelino! Dove sei? Era sparito. Sta’ a vedere che ha visto passare un altro Babbo Natale, l'ha scambiato per me e gli è andato dietro... " Marcovaldo continuò il suo giro, ma era un po' in pensiero e non vedeva l'ora di tornare a casa. A casa, ritrovò Michelino insieme ai suoi fratelli, buono buono.
- Di' un po', tu: dove t'eri cacciato?
- A casa, a prendere i regali... Si, i regali per quel bambino povero...
- Eh! Chi?
- Quello che se ne stava cosi triste.. - quello della villa con l'albero di Natale...
- A lui? Ma che regali potevi fargli, tu a lui?
- Oh, li avevamo preparati bene... tre regali, involti in carta argentata.
Intervennero i fratellini. Siamo andati tutti insieme a portarglieli! Avessi visto come era contento!
- Figuriamoci! - disse Marcovaldo. - Aveva proprio bisogno dei vostri regali, per essere contento!
- Sí, sí dei nostri... È corso subito a strappare la carta per vedere cos'erano...
- E cos'erano?
- Il primo era un martello: quel martello grosso, tondo, di legno...
- E lui?
- Saltava dalla gioia! L'ha afferrato e ha cominciato a usarlo!
- Come?
- Ha spaccato tutti i giocattoli! E tutta la cristalleria! Poi ha preso il secondo regalo...
- Cos'era?
- Un tirasassi. Dovevi vederlo, che contentezza... Ha fracassato tutte le bolle di vetro dell'albero di Natale. Poi è passato ai lampadari...
- Basta, basta, non voglio più sentire! E... il terzo regalo?
- Non avevamo più niente da regalare, cosi abbiamo involto nella carta argentata un pacchetto di fiammiferi da cucina. È stato il regalo che l'ha fatto più felice. Diceva: " I fiammiferi non me li lasciano mai toccare! " Ha cominciato ad accenderli, e...
-E...?
- …ha dato fuoco a tutto!
Marcovaldo aveva le mani nei capelli. - Sono rovinato!
L'indomani, presentandosi in ditta, sentiva addensarsi la tempesta. Si rivesti da Babbo Natale, in fretta in fretta, caricò sul furgoncino i pacchi da consegnare, già meravigliato che nessuno gli avesse ancora detto niente, quando vide venire verso di lui tre capiufficio, quello delle Relazioni Pubbliche, quello della Pubblicità e quello dell'Ufficio Commerciale.
- Alt! - gli dissero, - scaricare tutto; subito!
" Ci siamo! " si disse Marcovaldo e già si vedeva licenziato.
- Presto! Bisogna sostituire i pacchi! - dissero i Capiufficio. - L'Unione Incremento Vendite Natalizie ha aperto una campagna per il lancio del Regalo Distruttivo!
- Cosi tutt'a un tratto... - commentò uno di loro. Avrebbero potuto pensarci prima...
- È stata una scoperta improvvisa del presidente, - spiegò un altro. -
Pare che il suo bambino abbia ricevuto degli articoli-regalo modernissimi, credo giapponesi, e per la prima volta lo si è visto divertirsi...
- Quel che più conta, - aggiunse il terzo, - è che il Regalo Distruttivo serve a distruggere articoli d'ogni genere: quel che ci vuole per accelerare il ritmo dei consumi e ridare vivacità al mercato... Tutto in un tempo brevissimo e alla portata d'un bambino... Il presidente dell'Unione ha visto aprirsi un nuovo orizzonte, è ai sette cieli dell'entusiasmo...
- Ma questo bambino, - chiese Marcovaldo con un filo di voce, - ha distrutto veramente molta roba?
- Fare un calcolo, sia pur approssimativo, è difficile, dato che la casa è incendiata...
Marcovaldo tornò nella via illuminata come fosse notte, affollata di mamme e bambini e zii e nonni e pacchi e palloni e cavalli a dondolo e alberi di Natale e Babbi Natale e polli e tacchini e panettoni e bottiglie e zampognari e spazzacamini e venditrici di caldarroste che facevano saltare padellate di castagne sul tondo fornello nero ardente.
E la città sembrava più piccola, raccolta in un'ampolla luminosa, sepolta nel cuore buio d'un bosco, tra i tronchi centenari dei castagni e un infinito manto di neve. Da qualche parte del buio s'udiva l'ululo del lupo; i leprotti avevano una tana sepolta nella neve, nella calda terra rossa sotto uno strato di ricci di castagna.
Usci un leprotto, bianco, sulla neve, mosse le orecchie, corse sotto la luna, ma era bianco e non lo si vedeva, come se non ci fosse. Solo le zampette lasciavano un'impronta leggera sulla neve, come foglioline di trifoglio. Neanche il lupo si vedeva, perché era nero e stava nel buio nero del bosco. Solo se apriva la bocca, si vedevano i denti bianchi e aguzzi.
C'era una linea in cui finiva il bosco tutto nero e cominciava la neve tutta bianca. Il leprotto correva di qua ed il lupo di là. Il lupo vedeva sulla neve le impronte del leprotto e le inseguiva, ma tenendosi sempre sul nero, per non essere visto. Nel punto in cui le impronte si fermavano doveva esserci il leprotto, e il lupo usci dal nero, spalancò la gola rossa e i denti aguzzi, e morse il vento. Il leprotto era poco più in là, invisibile; si strofinò un orecchio con una zampa, e scappò saltando. È qua? È là? no, è un po' più in là? Si vedeva solo la distesa di neve bianca come questa pagina.
La novella di Calvino, che avete appena letto, intitolata “I figli di Babbo natale” – fa parte della raccolta Marcovaldo stagioni in città e chiude un ciclo di storie che hanno come protagonista Marcovaldo, il curioso fattorino della Swab incaricato di vestire, in questa storia, i panni di Babbo Natale. Non prenderò in considerazione le peculiarità della personalità di Marcovaldo, ma piuttosto mi limiterò a sottolineare la posizione che Calvino gli attribuisce come spettatore e attore adulto nella società industrializzata e dei consumi, che quasi esaltandola fino all’assurdo, ci propone. Seguendo l’itinerario tracciato dalle sue parole, che richiamano dapprima un cosmico risvegliarsi di buone intenzioni, ci ritroviamo subito dopo catapultati verso quello scomodo spaccato della realtà, magistralmente delineato dal suo stile narrativo, che intende denunciare da una parte e far emergere dall’altra, l’atmosfera di un epoca che si adoperava a scartare i doni del progresso trascurando i segni del regresso.
Con gli occhi di un bambino
Che gli occhi di un bambino siano spesso necessari per segnalare con una certa acutezza gli angoli più intimi della nostra realtà è un aspetto che possiamo rintracciare nella scelta di molti autori di attribuire a questi piccoli personaggi una responsabilità formativa non da poco.
Facendo passare la narrazione attraverso gli occhi di un bambino, di fatto, Calvino concede al lettore di esercitarsi nel confronto tra mondo interno ed esterno, prendere contatto con quelle parti di se stesso perdute, parti capaci di immaginare, e sgomberare da iper-razionalizzazioni e sofisticati sistemi di controllo quegli aspetti della realtà che nella loro purezza conferiscono possibilità e soluzioni.
Michelino, infatti, emblema del bambino che sa guardare al di là di una realtà impoverita di profondità, traghetta l’adulto verso quella vitalità dell’affetto deprivata e sostituita con una spropositata attenzione verso l’estetica e la spettacolarità. Un lavoro che, a mio avviso, solo ad una mente capace di osservare il mondo conservando un saldo ancoraggio alla creatività e alla fantasia è dato compiere.
Poveri d’amore
Laddove questa creatività, per una qualche ragione, sia stata compromessa anche da una carenza di amore, scovarla e sostenerla, e non per modificare quello che è stato, beninteso, ma per introdurre una possibilità nella vita a venire è senz’altro la strada che dovrebbe essere mostrata.
Anche nelle più scoraggianti condizioni, quelle che sembrano allinearsi per rivelare un destino già segnato, ecco che l’intervento dell’altro, di un “altro”, può introdurre un cambiamento dove sembrano mancare alternative. Se da una parte, infatti, il Presidente della Sbav di Calvino fa pensare a un genitore tremendamente carente di responsività, emblema della flessibilità dell’uomo moderno che trasforma lo sfogo di Gianfranco in un nuova occasione di produrre una nuova merce di consumo, dall’altra Michelino e i suoi fratelli rappresentano la sua controparte, ancora distante dal fascino del consumismo, emblematica testimonianza dello iato tra l’essere e il possedere e portavoci della capacità di riconoscere un bisogno taciuto e di esperirlo.
Gianfranco, il piccolo personaggio in cui Calvino fa vibrare il vuoto d’amore e la profonda solitudine di tutti quei bambini il cui bisogno di affetto è tangibile ma nascosto dietro una rassegnata abitudine a non ricevere, è il testimone di una relazione parentale che fa dell’amore un fronzolo inutile, mentre esalta il potere e il controllo come aspetti imprescindibili di crescita e adultità. Gianfranco è il simbolo di quella condizione dell’esistenza in cui povertà e ricchezza, nelle loro varianti concrete e metaforiche, concorrono per la conquista di un territorio chiamato uomo e li trovano lo spazio per rendere visibile il loro conflitto.
Il dono della rabbia
Quale sia la funzione della rabbia in questo conflitto è, a mio avviso, un aspetto degno di attenzione. Per quanto la rabbia sia una risposta naturale, nata da quello che avvertiamo come una minaccia alla nostra persona o rivolta a chi amiamo, essa è abitualmente connotata negativamente. Non sarà necessario riflettere a lungo, infatti, per poter dire che si tratta di una emozione e/o un sentimento, che tendiamo a respingere e soffocare. È difficile che qualcuno colga in essa il messaggio di vitalità di cui si fa portavoce, proprio perché l’aspetto che per primo tendiamo a osservare è la sua veemenza e imprevedibilità.
Simbolicamente la rabbia è associata al fuoco e il fuoco bruciando distrugge, ma il fuoco fa anche altro, riscalda, illumina, trasforma. Dalla rabbia si apre la consapevolezza, la possibilità della purificazione, della metamorfosi. Qualcuno si ricorderà dell’uso del fuoco di Efesto, il non amato, della sua inimitabile abilità creativa.
Quale altro dono avrebbe potuto catturare l’interesse del ritirato Gianfranco se non quello non posseduto e tale da restituirgli il suo spazio per esistere e farsi carne viva?
Lontani dal territorio dell’infanzia, ma in cerca di possibilità di accesso
Una testimonianza pervicace della necessità di recuperare un’attenzione sull’infanzia che sia capace di migliorare quel fondamento costitutivo dell’uomo chiamato educazione, e che mai e poi mai deve essere slegato dall’amore, è rintracciabile nei contributi della psicoanalista Alice Miller, che sui bambini deprivati d’amore e sulle eredità di questa povertà ha scritto molto.
Non intendo, tuttavia, attraverso questa storia impegnarmi in una mistificazione dell’amore, ma mi limito a segnalare i simboli che in questa e in altre ripercorrono le vicende umane per restituirceli digeriti, distanziati, meno spaventosi, introiettabili. Perché, in fondo, è proprio così, lontani dal territorio dell’infanzia, accade a noi adulti di averne, forse, più bisogno dei bambini.
Non posso, infatti, dissentire da quanto, molto acutamente, Alice Miller sostiene quando afferma:
“Pur con varia intensità e pur adottando sanzioni diverse, quasi ovunque si ritrova […] la tendenza a sbarazzarsi il più in fretta possibile del bambino che è in noi, ossia della creatura debole, indifesa e dipendente per poter diventare l’individuo adulto, autonomo ed efficiente, che merita considerazione”.
Ebbene si, questo movimento, che fa della parte più autenticamente libera, creativa e spensierata, quella capace di affidarsi all’immaginazione, che non baratta la possibilità con la certezza, ma si coinvolge e appassiona per un esercizio di sperimentazioni, è ciò che non solo sopprimiamo in noi stessi, ma tendiamo a replicare nell’educazione dei nostri figli.
Se, dunque, la realtà asfittica della modernità è quella in cui abitualmente ci muoviamo, Calvino intende proporcene un’altra, affidandosi alla narrazione, in cui la sua chiave per il rinnovamento è proprio nella scoperta. Ecco, che nell’insieme e nel frammento ingaggia ognuno di noi a riscoprirsi, immergersi nella realtà, a cogliere le relazioni intrattenute con essa. Si tratta di un viaggio puntellato di simboli che si muovono tra il tempo cronologico e il senza tempo, in cui l’inaspettato introduce l’amaro e il dolce, il tragico e il comico in cui la città e la natura, ora grandi e piccole, poi piccole e grandi sfumano l’una nell’altra.
Bibliografia
Calvino, I (2016). Marcovaldo. Milano: Mondadori.
Miller, A. (2008). La persecuzione del bambino. Torino: Bollati Boringhieri.